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Domenica 5 Giugno 2005

 
LeBon è partito alla grande "tenendo" per un’ora poi la voce è calata e se l’è cavata con mestiere coinvolgendo il pubblico. Nei bis ha cercato invano una ragazza che parlasse inglese
Dodicimila in delirio per i Duran Duran
Una scaletta "micidiale", successo dopo successo, capace di coinvolgere anche i meno convinti
Ieri sera in Arena
Lo scopo dello show è chiaro fin dalle prime battute: divertimento e ballo, con gli hit di un’epoca passata che è tornata di moda e forse è già demodé. «Wild Boys» e «Save a prayer» i brani che hanno scaldato maggiormente l’atmosfera. Il culmine è stato raggiunto quando LeBon ha chiesto: «Avete ancora gas negli accendini? Create delle stelle per noi qui, in Arena»
 

Verona. I Duran Duran fanno esplodere il pubblico di trentenni dell'Arena ma durano appena un'ora. Il primo concerto italiano in assoluto della formazione classica a 5 (Simon LeBon, Nick Rhodes e i tre Taylor) è un successo di pubblico (oltre 12.000 i presenti all'anfiteatro) ma lascia qualche perplessità sulla tenuta del leader del gruppo pop inglese. Non dal punto di vista atletico, intendiamoci: Simon è uno sportivo e corre per le due ore del concerto con una forma invidiabile per un over 40.
È la voce a mostrare qualche incertezza, e meno male che i Duran hanno una scaletta infarcita di pezzi "killer" anni Ottanta, roba da lasciare stecchiti anche quelli che non rimpiangono né quegli anni né i trionfi di questa band.
Il concerto inizia con "Sunrise", cioè "la musica dello spot dei telefonini", come precisa un ragazzo vicino a noi, solo sfiorato - anagraficamente parlando - dalla Duranmania ma "massacrato" come tutti dallo spot in questione e presente anche lui in Arena per divertirsi e ballare. Lo scopo dello show dei Duran è chiaro fin dalle prime battute: divertimento e ballo, con le hit di un’epoca passata che è tornata di moda e forse è già demodé «Ciao a tutti! Questa è un'occasione speciale», dice Simon in italiano, leggendo da un foglietto scritto apposta (scommettiamo che se lo terrà stretto per tutta la durata del tour italiano?). poi chiede: «Siete affamati?» e usa la frase per introdurre "Hungry like the wolf".
Cantano tutti il ritornello e noi, pensando al testo, ci accorgiamo (ascoltando pure le successive "Planet earth" e "Union of the snake") di quanto esotiche, strane e bizzarre suonino ancora oggi le canzoni del quintetto di Birmingham. Il confronto con i nuovi brani è penalizzante e basta "Astronaut", quella che dà il titolo all'album pubblicato lo scorso autunno, a farlo capire anche al pubblico che però balla e si diverte.
"I don't want your love" fa pensare per la sua vicinanza sonora ai Massive Attack e ai Depeche Mode (in realtà i Duran sono arrivati a quel sound prima di quelle band inglesi e dunque...)
Merito anche della voce della corista Anna Ross, sempre più presente per sorreggere Simon. Prima di "What happens tomorrow" Simon racconta: «È una canzone che abbiamo scritto un paio d'anni fa, quando cadevano le bombe su Baghdad. L'abbiamo fatto per dare un po' di speranza.»
Non sappiamo quali siano state le reazioni degli iracheni ma in Arena ieri sera la canzone è stata accolta bene; una fan ha addirittura lanciato un mazzo di fiori sul palco. Altra bizzarria sonora per "The reflex" e primo accenno alla discomusic con l'inserto di "I feel love" di Donna Summer in "Sound of thunder" (più avanti prenderanno in prestito un ritornello strafamoso delle Sisters Sledge).
« Se avete ancora gas negli accendini, create delle stelle per noi Duran Duran» chiede Simon prima di consegnare al pubblico "Save a prayer", la canzone più amata in Arena insieme a "Wild boys". Nick Rhodes, autore del brano, scuote felice la chioma bionda tagliata a caschetto.
Nei bis, durante la presentazione della band, un afono Simon si aggira tra la folla ai lati del palco in cerca di una ragazza che annunci il suo nome, in inglese però. Dopo qualche tentativo a vuoto si leva una voce che, con cadenza italica, dice "Simon LeBon, the best singer in the world".
Uno spettacolo pieno di energia, una cornice degna ma non credete ai fan!
Giulio Brusati

 

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